La pieve di Fabbrica
Di indubbia suggestione e di rara bellezza è la pieve di Santa Maria Assunta di Fabbrica, esempio notevole di architettura romanica in Valdera. La sua semplicità accoglie e stupisce chi giunge a Fabbrica percorrendo la provinciale da Peccioli.
Castello di proprietà della diocesi di Volterra, Fabbrica passò sotto la giurisdizione politica del comune di Pisa, ed è nominato negli statuti del 1284. Fu conquistata nel 1163 dall’esercito pisano sotto il comando di Ranieri Gaetani, e da questa data le sorti di Fabbrica risultano strettamente legate a quelle della famiglia Gaetani. Secondo la tradizione, intorno al XIII secolo sarebbe stata costruita proprio per volere dei Gaetani una rocca con quattro torri angolari e un grande mastio centrale, dotato di campane, e il borgo circostante sarebbe stato cinto di mura.
Il Bertini (Bertini D. 1818, Memorie e documenti per servire all’Istoria del Ducato di Lucca, IV, II, Lucca) attesta per la prima volta la pieve di Santa Maria a Fabbrica in un documento del 4 maggio 776. Nei documenti volterrani essa è attestata nel 1017 e nel 1115 e in successivi atti del XIII secolo. Dalla seconda metà del XIII secolo fanno parte del piviere (territorio di giurisdizione di un pievano) le chiese di San Michele di Celli, Santa Lucia di Montecchio e San Martino di Montelopio, alle quali sono successivamente aggiunte, come emerge dalle visite pastorali, le cappelle di San Pancrazio di Montecchio, San Giusto a Poggio Martino e San Giorgio di Rocchetta. Nei secoli posteriori sembra che nel piviere di Fabbrica fossero incorporati i popoli del comune di Ghizzano (per il fatto che il pontefice Giulio II ammensò al capitolo di San Lorenzo di Firenze, con bolla dell’11 giugno 1512, le chiese di Santa Maria a Ghizzano e di Santa Mustiola unite, spettanti alla diocesi di Volterra nel piviere di Fabbrica).
La chiesa è verosimilmente databile tra la seconda metà del X secolo e l’inizio del successivo, ma ha subito rifacimenti nel 1405, a spese della famiglia Gaetani, nel XVIII secolo e ancora nel 1832, ai cui danni è stato in parte posto rimedio con il restauro del 1959.
La pianta è articolata in tre navate, con sviluppo basilicale e terminazione absidata, presenta una partizione dello spazio interno per mezzo di un sistema alternato di pilastri circolari e quadrangolari; due absidi semicircolari e una scarsella concludono l’edificio.
Nella facciata, a conci squadrati di pietra arenaria, presente soprattutto nella zona del medio corso del fiume Era, in filaretto, si apre un unico portale originariamente collocato in una posizione diversa, come mostra l’arco di scarico soprastante decentrato. In asse con il portale doveva esserci una monofora che è andata distrutta nel 1832. A questa data probabilmente furono murati alla base della facciata alcuni archetti pensili a doppio risalto che decoravano l’abside centrale, crollata nel corso del Quattrocento. All’interno di alcuni di questi archetti sono scolpiti a bassorilievo una figura umana danzante, una testa umana e un quadrupede. Sul lato sud, dove rimane ancora l’antica meridiana, è visibile l’ingresso laterale, tamponato.
La parte absidale, modificata ed ingrandita, ha perduto molto del suo carattere, soprattutto all’esterno, dove neanche le due absidi laterali (uniche rimaste dopo la demolizione di quella centrale) risultano visibili.
Al posto dell’abside centrale è stata creata una vasta zona ad uso di coro ed oggi quasi interamente occupata dall’organo (opera della ditta La Frescobalda di Parma) che qui fu posto ed inaugurato il 31 agosto 1975, in occasione del millenario della pieve.
La navata centrale è stata rialzata quando, nel 1832, si è sostituita l’originaria copertura a travi lignee disposte a doppio spiovente con una copertura a volta, affrescata dal pittore veneziano Vittorio Pittaco nel 1905 con l’immagine dell’Assunta e dei quattro evangelisti.
I lavori di ripristino dell’aspetto originario dell’edificio, eseguiti nel 1959, hanno riportato alla luce la forma originaria delle colonne, che, come era successo anche in San Verano, erano state scalpellate e chiuse dentro pilastri di stucco. Nella parete della navata nord, rimossi gli intonaci ottocenteschi, sono tornate visibili le originarie monofore e di conseguenza sono state chiuse le finestre a lunetta. Notevole valore documentario ha l’iscrizione murata nella navata sud, vicino all’altra porta laterale tamponata, in cui si ripercorre brevemente la storia della rocca del castello di Fabbrica e che in origine si trovava sul lato destro della porta del castello stesso, mentre l’iscrizione sul lato sinistro, di contenuto analogo, come risulta dalla trascrizione fornita da Socrate Isolani nel suo libro del 1907 dal titolo Il mio paese, è andata perduta.
In diversi punti della chiesa sono collocati arredi in terracotta invetriata policroma commissionati nel 1505 da Bartolomeo Gaetani, che sono stati attribuiti a Benedetto Buglioni (Firenze 1459/60-1521) e alla sua bottega attiva a Firenze.
Al centro del presbiterio, sopra l’altare maggiore è collocata una grande pala a forma di struttura architettonica architravata sovrastata da due angeli, in cui si apre un arco centrale affiancato da due nicchie con statuette di San Bartolomeo e San Giovanni Battista; sulla base, ai lati di un riquadro con la Natività di Gesù, due iscrizioni con la data dell’opera, il 1505 e il nome del committente, Bartolommeo Gaetani, e alle due estremità gli stemmi della famiglia.
Nella navata nord, posto sopra il fonte battesimale, troviamo un tondo con Cristo e San Giovanni Battista. Sull’altare dell’abside in fondo alla navata sud si trova invece una statua di Sant’Antonio Abate.
Sulla parete della navata sud è collocata una pala che rappresenta una Sacra Conversazione attribuita al Maestro di Memphis, pittore che lavorava nella bottega di Filippino Lippi. Al centro la Madonna col Bambino su un trono in marmo con base semicircolare, di forma e decorazione ispirate all’antico. Gesù abbraccia San Giovannino, a destra e a sinistra due coppie di santi: uno stante e uno inginocchiato, tutti raffigurati di tre quarti, in quanto rivolti verso la Madonna e il Bambino. A destra della Madonna San Pietro Martire, raffigurato con gli strumenti del martirio e Santa Margherita di Antiochia. A sinistra della Madonna un santo vescovo, che si può identificare con Sant’Agostino; vicino a lui Santa Maria Maddalena.
Alla parete della navata nord è invece appesa un’Ultima Cena di Paolo Guidotti, un pittore nato a Lucca intorno al 1560, ma che svolse quasi tutta la sua carriera a Roma, dove ebbe importanti commissioni e riconoscimenti, essendo particolarmente protetto da papa Paolo V Borghese. La pala di Fabbrica è stata eseguita nel 1616, cioè verso la fine del periodo in cui l’artista tornò in Toscana per lavorare a Lucca e a Pisa e che va dal 1611 al 1617.
Sopra l’altare, troneggia la tavola in bassorilievo della Vergine in trono (opera dello scultore volterrano M. Bertini, 1916-2000). Anche su questo altare è ben visibile sui candelieri sia lo stemma che il nome di Carlo Gaetani.
Al primo periodo di vita della chiesa, ovvero al X-XI secolo, risale un architrave, scolpito a basso rilievo, relativo ad una porta laterale tamponata nella navata nord. Un personaggio maschile, con elmo e arco, a cavallo, caccia due quadrupedi sullo sfondo di un paesaggio collinoso; un motivo decorativo a doppia treccia di vimini segue il profilo delle colline.
Proseguendo possiamo ammirare, protetto da una cancellata in ferro battuto, il fonte battesimale di Benedetto Buglioni.
Quasi alla fine della navata nord, si trova l’accesso alla Cappella della Compagnia del SS. Sacramento che conserva un altare di stile barocco, notevole opera di maestro intagliatore toscano. Anch’essa è stata rimodernata e messa a volta nel 1862 con l’opera e con l’obolo del popolo di Fabbrica. Nel 1988 durante un’operazione di pulitura e consolidamento della cappella, sono stati ritrovate sotto il tetto, alcune incisioni ottocentesche inneggianti alla libertà d’Italia. Gli ornati della volta, furono eseguiti dal pittore Francesco Macciò, coadiuvato dall’egregio sig. Crescenzio Isolani che ne diresse i lavori di restauro.
Il campanile della Pieve è in pratica un prolungamento dell’originaria torre campanaria che poggiava sopra una volta ed aveva una sola campana. Infatti sotto la direzione del maestro muratore Crescenzio Isolani, fu questa nell’anno 1875 in parte demolita perché troppo piccola, bassa e alquanto rovinata. Nel breve spazio di 10 mesi non solo fu terminata la costruzione del nuovo campanile, ma furono poste in opera anche le 3 campane tuttora esistenti. Queste furono opera della famiglia Rafanelli di Pistoia, che le temprò sì bene che suonate a doppio formano un armonioso e sempre nuovo concerto.
Oltre alle 3 campane che formano il doppio, ve n’è una più piccola donata alla Pieve da Giuseppa e Luisa Topi e da Domenico Molesti, marito di Luisa.
Fonti:
Socrate Isolani, Il mio paese, Volterra 1907
Antonio Alberti, I castelli della Valdera, Pisa 2005
Cristina Cagianelli, Chiara Mori, 9.000 ettari di storia, Pisa 2008
Michele Gotti, L’architettura religiosa medievale in Valdera: tecniche edilizie e tipologie planimetriche, in “Bollettino ingegneri”, n. 6-2013