Il tabernacolo di Benozzo
Il piccolo centro abitato di Legoli sorge sulla cresta di una collina tufacea. Il Toscanelli ritiene che il nome di Legoli derivi dalla casata pisana “Leoli”. Nei vicoli di questo piccolo borgo sorge la chiesa della Madonna delle Grazie, detta “chiesa bassa”, e tramite una scalinata è possibile accedere alla chiesa dei SS. Giusto e Bartolomeo, detta “chiesa alta”, costruita in pietra arenaria e la cui navata interna è decorata con un ciclo di affreschi databili al 1300 ca.
Difficile poter stabilire il periodo in cui il territorio di Legoli fu abitato, visto che i ritrovamenti sono sporadici. L’unico reperto è il corredo funerario di una tomba, scoperta nel 1930 e databile tra il III e II secolo a.C. Sicuramente la zona era dunque abitata in quel periodo, ma il primo documento scritto relativo a Legoli è del 1139: si tratta di un contratto di vendita tra un conte e il vescovo di Volterra.
Poco fuori dall’abitato si trova l’Oratorio di Santa Caterina, edificato nel 1822 dai figli del pisano Alessio Della Fanteria per accogliere le spoglie del padre e preservare un’opera di cui certo anche allora si doveva comprendere l’eccezionale valore storico-artistico. La struttura è costruita intorno a un tabernacolo in muratura interamente affrescato dal pittore fiorentino Benozzo Gozzoli (Firenze 1420 – Pistoia 1497).
Il tabernacolo si trovava in un luogo che in passato aveva molta più importanza di adesso, trovandosi nel punto in cui la strada proveniente da Peccioli si biforcava: un ramo si dirigeva verso sud (Libbiano, Pratello, Ghizzano) e l’altro verso Siena (Castelfalfi e San Gimignano).
Gli affreschi furono eseguiti da Benozzo in un breve intervallo di tempo, all’interno dei 16 anni trascorsi a Pisa, in gran parte nel cantiere del Camposanto Monumentale (1468-1494, qui venne chiamato dall’arcivescovo di Pisa che in quel periodo era un Medici e scelse Benozzo per completare la parete nord con il ciclo riguardante le storie del Vecchio Testamento, probabilmente come simbolo della egemonia culturale fiorentina, mostrando la sua maestria nell’uso virtuosistico degli scorci e nelle fastose architetture; prima di essere a Pisa soggiornò a San Gimignano dove affrescò le scene della vita di Sant’Agostino nella chiesa di Sant’Agostino), e precisamente nell’estate 1479, quando l’artista lasciò la città sull’Arno a causa di una pestilenza. Probabilmente in quello stesso periodo eseguì l’affresco con “l’Arrivo dei Magi” nella Cappella della Vergine all’interno del Duomo di Volterra. Quasi certamente, per queste opere Benozzo si servì degli stessi collaboratori che lo affiancavano nel cantiere del Camposanto, fra i quali i due figli. L’artista era allora nel pieno della sua maturità e godeva di una grande fama, consacrata venti anni prima, nel 1459, dalla realizzazione della sua opera più famosa, l’affresco con l’Adorazione dei Magi per la Cappella dei Medici nel palazzo di via Larga, oggi via Cavour.
Gli affreschi di Legoli hanno subito prima l’aggressione degli agenti atmosferici e soprattutto dell’umidità stagnante tra le mura della Cappella, poi, in passato, sono stati oggetto di operazioni di restauro che in alcuni tratti hanno contribuito a peggiorarne lo stato di conservazione, pertanto oggi gran parte della superficie pittorica è perduta per sempre.
A partire dal 2006 gli affreschi sono stati oggetto, per alcuni anni, di un intervento dell’Istituto Centrale del Restauro, condotto secondo le più aggiornate metodologie scientifiche e volto a preservare le parti rimaste, riducendo i danni causati da alcuni dei precedenti restauri; inoltre si è provveduto a risolvere i problemi dell’umidità di risalita, che interessavano la struttura ottocentesca.
Il tabernacolo di Legoli non è il solo affrescato da Benozzo in Toscana. Se ne annoverano altri tre:
– il “Tabernacolo dei Giustiziati” di Certaldo, dipinto intorno al 1446 e così denominato per la sua funzione di punto di sosta, nonché per un’ultima preghiera, per i condannati a morte;
– il “Tabernacolo della Madonna della Tosse”, di Castelnuovo d’Elsa, del 1484;
– il “Tabernacolo della Visitazione”, detto anche delle Grazie, di Castelfiorentino, del 1491.
Questi ultimi due furono affrescati, così come quello di Legoli, durante gli anni pisani dell’attività di Benozzo. Dobbiamo immaginare che in tempi nei quali il sentimento religioso era più diffuso e radicato, questi piccoli edifici di culto avevano la funzione di accompagnare il cammino terreno e spirituale dei fedeli, costituendo delle tappe individuali e solitarie di riflessione per gli abitanti del luogo e per le persone di passaggio, oppure divenendo luogo di preghiera in occasione di feste e processioni. Di fronte ai tabernacoli si accendevano lumi ad olio che dovevano rendere visibili queste strutture anche di notte, creando un’ulteriore suggestione.
Dopo la parentesi forzata trascorsa in Valdera, Benozzo tornò a lavorare agli affreschi del Camposanto, che entusiasmarono i pisani a tal punto da concedere all’artista il privilegio di una tomba in quel luogo, proprio sotto le sue opere, tomba che rimase vuota perché egli in realtà fu sepolto nel chiostro della Chiesa di San Domenico a Pistoia, città dove era andato a lavorare poco dopo aver lasciato Pisa nel 1495.
La nicchia principale del tabernacolo di Legoli, larga oltre due metri e rivolta verso il paese, ospitava la mensa dell’altare, sul lato ovest: qui sulla parete è raffigurata una Sacra Conversazione, con una Madonna col Bambino circondata da quattro santi, di cui solo due sono oggi visibili: a sinistra un santo vescovo con mitra e pastorale, a destra una santa che potrebbe essere Santa Caterina d’Alessandria, dalla quale la cappella ha preso il nome, sullo sfondo una cortina gialla sorretta da tre angeli in volo. La Madonna col Bambino è presentata come colei che offre ai fedeli la sua opera di mediazione per ottenere protezione e grazia da suo figlio ed è pertanto oggetto di devozione da parte dei fedeli di ogni grado sociale. Nell’intradosso, al culmine dell’arco, si trova l’immagine di Cristo dentro un tondo. Cristo tiene in mano il libro della Sacra Scrittura aperto. Ai lati, su due ordini, vi sono un dottore della chiesa affiancato da un evangelista: a destra San Matteo con l’angelo affiancato da San Girolamo con la veste e il cappello cardinalizio; San Marco con il leone e Sant’Ambrogio con la mitra e il pastorale da vescovo; a sinistra San Giovanni con l’aquila e San Gregorio Magno che indossa la tiara simbolo dell’autorità papale; San Luca col toro e Sant’Agostino anche lui in veste di vescovo. Tutte queste figure tengono, al pari di Cristo, un libro della scrittura tra le mani. Nell’estradosso una Annunciazione costituisce la premessa necessaria alla scena dipinta su questa parete, cioè l’inizio della Storia della Salvezza operata da Cristo attraverso la Madonna in favore di tutta l’umanità.
Gli affreschi del tabernacolo mettono tutti in evidenza come la Salvezza offerta da Cristo passi attraverso la sua sofferenza e attraverso la sua lotta contro il male, condotta vittoriosamente dai santi. Sulla parete della nicchia del lato sud è raffigurata la salita al Calvario: Gesù è seguito dalle pie donne e da un angelo in volo; sullo sfondo, tra solide architetture in stile rinascimentale, un grande edificio richiama alla mente il Palazzo della Signoria di Firenze. Sul lato nord è raffigurato San Sebastiano,il santo invocato in occasione delle pestilenze, trafitto con le frecce da due soldati dell’imperatore Diocleziano, mentre un angelo in volo reca la palma del martirio e la corona della gloria. Sul lato est la Crocifissione rappresenta il punto drammaticamente più alto dell’intero ciclo: Cristo in croce, con la testa reclinata sul petto, i muscoli delle braccia e del tronco irrigiditi nello spasmo della morte, le ferite sanguinanti, è circondato in alto da due angeli in volo e in basso dalla Madonna e San Francesco da un lato, San Domenico e San Giovanni dall’altro. La presenza della Madonna e San Giovanni rispecchia il racconto evangelico, mentre la presenza degli altri due santi, fondatori di due ordini mendicanti, di assoluto rilievo a quell’epoca, raffigurati in atteggiamento di preghiera, potrebbero essere dovuti alla volontà dei committenti. In alto all’esterno della nicchia appaiono due coppie di angeli inginocchiati, in lunghe vesti rosse, con le mani incrociate sul petto, mentre in basso a sinistra c’è San Michele Arcangelo nell’atto di trafiggere il demonio sotto forma di drago.
A destra è raffigurato l’episodio dell’incredulità di San Tommaso, in cui la drammaticità è accentuata dall’atteggiamento concitato dei due protagonisti, entrambi raffigurati di scorcio e molto ravvicinati. Benozzo dimostra qui di essersi ispirato alla nota scultura bronzea di identico soggetto, realizzata da Verrocchio, per una nicchia dell’oratorio di Orsanmichele a Firenze.
Dagli affreschi del tabernacolo traspare la volontà di coinvolgere emotivamente i fedeli, che dovevano sentirsi accomunati di fronte al pericolo del contagio in un momento di angoscia collettiva. La tematica del tabernacolo è la morte collegata alla tematica della peste, che in quel momento stava facendo molte vittime. Il tema è quello della piaga e della sofferenza, ciò che si ritrova nelle piaghe delle ferite di San Sebastiano e nell’incredulità di San Tommaso che tocca la ferita aperta del Cristo. Rimedio possibile è un allontanamento dal male esemplificato dal santo taumaturgo Sebastiano; l’Arcangelo Michele che uccide il drago è un altro modo di sconfiggere il male, la morte e la malattia. Il santo trafitto dalle frecce ricorda anche la posizione e il martirio di Cristo flagellato, che viene quindi con il proprio sacrificio a liberare tutto il male di quel tempo. La posizione degli arcieri e anche le loro gambe sono ripresi dai soliti cartoni utilizzati nella collegiata di San Gimignano per lo stesso soggetto, fatto che avviene anche a Certaldo col “Tabernacolo dei Giustiziati”.