Floriddia: una famiglia, un’azienda, una visione
Questa è la storia di una famiglia, di un’azienda, dell’amore per la terra e di una visione.
Questa storia inizia con Giuseppe e Sabia. Giuseppe Floriddia arriva dalla Sicilia in Toscana, a Montaione, nel ’49, dove, insieme ai fratelli, compra un piccolo podere; Sabia arriva a Cedri dall’Abruzzo nel ’52.
Gli anni ’60 sono anni di grandi cambiamenti economici e sociali, sono gli anni in cui le campagne si spopolano a causa dell’attrazione delle grandi aziende della zona: la Piaggio, le vetrerie di Empoli… Ma la famiglia Floriddia decide di mantenere fede alla terra e al loro lavoro e dopo qualche anno passato a Cedri, nel ’60 decidono di spostarsi nel Comune di Volterra dove acquistano un podere dall’Ente Maremma[1], dotato di casa, stalla e anche un paio di buoi. Lì rimangono fino agli anni ’90, quando, grazie a nuovi terreni acquistati, il figlio maggiore Rosario si sposta nel Comune di Peccioli, seguito negli anni 2000 anche dal fratello Giovanni.
All’inizio degli anni ’80 nasce e si rafforza in loro la consapevolezza della necessità di difendere la natura e l’intenzione di abbandonare l’utilizzo della chimica di sintesi. Una serie di eventi e di coincidenze e la capacità di saperle cogliere traccerà un nuovo corso dell’azienda. Tra l’84 e l’85 partecipano a un progetto promosso dal Consorzio Agrario di Pisa che per 600.000 lire l’ettaro, che per l’epoca non erano certamente poche, proponeva di fornire assistenza completa, attraverso la dotazione di una seminatrice, di un apparecchio per diserbare, del seme, del concime, del diserbo, dell’insetticida e del funghicida: un sostegno pertanto che accompagnava l’azienda dalla semina alla raccolta. Quella primavera a causa di un attacco di oidio, nonostante l’aiuto dell’ente provinciale, il raccolto fu mediocre.
L’85 fu un anno fondamentale. Durante un viaggio a Milano, in treno trovano un importante settimanale su cui era pubblicato un interessante articolo dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica italiana[2] con sede appunto a Milano. Niente, quindi, fu lasciato al caso, e questo ritrovamento fortuito fu l’occasione per visitare la sede dell’Associazione e la successiva iscrizione a un corso pratico di nove giorni sull’agricoltura biodinamica. Il passo fu breve. Di lì a due anni, arco di tempo necessario per la transizione, l’intera azienda decide all’unanimità di abbandonare l’utilizzo della chimica di sintesi, e da agricoltura convenzionale passa ad agricoltura bio.
Per i primi anni vengono adottate le pratiche dell’agricoltura biodinamica, per cui l’azienda viene concepita come un organismo vivente autosufficiente e autonomo, in cui vige un equilibrio tra coltivazioni, siepi, laghetti, filari di alberi, boschetto, fosse di scolo, ed elemento animale. I fratelli Floriddia non avendo passione per gli animali decidono di abbandonare il biodinamico per dedicarsi al biologico ma senza rinunciare all’autonomia dell’azienda. Pertanto, invece di adottare una rotazione normale, che alterna cereale a leguminosa, iniziano a coltivare cereali, leguminose da granella (ceci, cicerchie, lenticchie, piselli, favino nero), leguminose da sfalcio, ed erba medica. Questo permette loro di non comprare concimi organici, se non in casi eccezionali.
Un nuovo momento di svolta avviene grazie alla collaborazione con l’Università di Firenze, il prof. Stefano Benedettelli e il dott. Giovanni Cerretelli e alla conoscenza della Rete dei Semi Rurali, associazione nazionale, collegata con altre associazioni europee e non solo, che si occupa di biodiversità, dei semi e delle piante in via di estinzione, con sede a Scandicci. Una nuova convinzione si radica nella famiglia Floriddia e nel 2008 durante un convegno internazionale ad Ascoli sostengono che non sia più sufficiente conservare i semi antichi ma che sia necessario iniziare a coltivarli e trasformali in economia.
Nel 2009 la decisione di iniziare a coltivare grani di antica qualità. Questi frutti della terra sono coltivati da 6-7.000 anni senza necessità di prodotti chimici di sintesi (entrati prepotentemente nell’uso agricolo a partire dagli anni ’60), non sono modificati geneticamente in laboratorio e garantiscono una produzione continua, a differenza dei grani di nuova generazione che, se riseminati per il secondo anno consecutivo, causano il collasso della produzione e l’obbligo da parte dell’azienda di acquistare nuovi semi. Oggi l’azienda produce, da semi antichi, grano tenero, grano duro, monococco, farro e, con una prossima produzione, tutte le leguminose. Nella zona sono presenti altre 7-8 realtà e ormai in tutte le regioni c’è almeno un’azienda che fa sul serio: tutto questo in una decina di anni. “C’è in atto una bella rivoluzione, perché si inizia a discutere di collaborare con i paesi dove i cereali sono nati, Siria, Iran, Iraq, Egitto, e da dove sono spariti, mettendo alla fame popoli. E proprio lì, dove la natura è più severa, c’è bisogno dei semi autoctoni, perché sono resistenti e riescono a sopravvivere senza utilizzo della chimica”.
L’idea di poter trasformare l’azienda in un organismo autonomo, che partendo dai semi arriva al prodotto finale di consumo, senza l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi per l’intero processo produttivo, è diventata realtà con la realizzazione del mulino, dell’impianto di selezione e poi con il pastificio e il forno.
La pasta Floriddia viene realizzata dal semolato di grani antichi, in pratica una semola semintegrale che al suo interno mantiene germe, sali minerali, antiossidanti e fibre, ha un glutine abbastanza semplice e quindi risulta molto digeribile, grazie all’equilibrio tra tutti gli elementi, non provoca picchi glicemici e colesterolo alto. Fondamentale è il processo di lavorazione a doppia macinazione: con il mulino a pietra viene prodotta una semola integrale, che viene setacciata; il cruscame che rimane insieme al germe viene passato da un mulino a cilindri, processo questo che permette il recupero del tegumento aluronico, molto ricco di proteine nobili, antiossidanti, sali minerali. Questo nuovo semolato si mescola con il primo per ottenere un semolato semintegrale, per quanto riguarda le fibre, ma integrale per quanto riguarda le sostanze nutritive, come il germe, gli antiossidanti e i sali minerali di cui quindi è ricchissima.
L’intera produzione della pasta inoltre viene realizzata a bassa temperatura: in fase di lavorazione al mulino, che gira a 94 giri al minuto, la temperatura non supera i 30 gradi; al pastificio, gli esssiccatori non fanno percepire alla pasta una temperatura superiore ai 35 gradi (le paste industriali vengono esposte negli essiccatori a temperature comprese tra i 90 e i 160 gradi).
I prodotti Floriddia vengono esportati in Italia, attraverso il loro shop online, anche se l’obiettivo finale è quello di restringere il commercio alle province confinati, oppure alla Toscana, attraverso il rafforzamento del negozio aziendale. E proprio questo è il nuovo progetto a cui gli instancabili Floriddia stanno lavorando e che sperano verrà concretizzato entro la fine 2022 o nei primi mesi del 2023: l’organizzazione di eventi di degustazione e la riduzione del packaging (attualmente viene già utilizzata carta riciclata). Sono già in atto infatti contatti con le autorità sanitarie locali per permettere l’acquisto dei prodotti alla spina attraverso l’utilizzo di propri contenitori, al fine di ridurre i costi, i trasporti e le energie utilizzate.
L’Azienda Agricola Biologica Floriddia è come un essere vivente, che cresce, si trasforma, sfida gli eventi e si pone sempre nuovi obiettivi, realizzando giorno dopo giorno un’idea nata oltre 40 anni fa.
Intervista realizzata il 24 ottobre 2022
[1] L’Ente Maremma è un’istituzione nata in seguito alla riforma agraria degli anni ’50 e sovraintese agli interventi previsti nel dopoguerra per i territori della Toscana e del Lazio, modificando profondamente l’assetto fondiario del paese, e riformando i contratti agrari allora vigenti.
[2] Per qualche decennio è stata l’unica associazione che ha fatto corsi agricoli pratici aull’agricoltura biodinamica e biologica.