Palazzo Pescatori. Una nobile dimora
Nel centro storico di Peccioli sorge un antico palazzo che deve il suo attuale nome alla famiglia che lo ha abitato per quasi due secoli, fino al 2019 quando la moglie dell’ultimo esponente è venuta a mancare.
La famiglia Pescatori ha antiche origini. Patrizi fiorentini, cittadini di Santa Maria Novella, dettero membri al consiglio dei “Dugento” e Viari e Podestà al Granducato. A Peccioli la loro presenza è testimoniata sia a livello produttivo, essendo proprietari terrieri, ma anche politico. Esponenti della famiglia furono consiglieri comunali (Ettore e Luigi, quest’ultimo anche sindaco). Il figlio di Ettore, Ferdinando, fu consigliere e sindaco di Peccioli per due mandati consecutivi dal 1912 al 1920, esercitò la professione di avvocato, fu esponente del Partito Popolare Italiano e consigliere provinciale.
Almeno dal 1622 la proprietà dell’edificio era della famiglia pisana dei Barbieri. Lo stemma di questa famiglia, con una stella a otto punte, è infatti presente in facciata anteriore su un portone centrale incorniciato da pietra serena. A seguito di successivi passaggi di proprietà, il palazzo fu acquistato da Francesco, figlio di Lorenzo Pescatori, nel 1740 e lo stemma araldico di questa famiglia fiorentina, in cui sono presenti due pesci, è collocato sulla facciata posteriore.
L’edifico, di colore rosa, è a tre piani, a pianta rettangolare ed è unico nel suo genere perché isolato dalle altre abitazioni, libero cioè sui quattro lati. La facciata principale guarda Piazza Monsavino, mentre il fronte posteriore si affaccia sulla Piazzetta che porta lo stesso nome. Questo accesso, fino agli anni ’20 era utilizzato per l’ingresso della carrozza nel cortile interno. La carrozza è rimasta fino agli anni Venti in questo luogo, fino a che è andata distrutta a causa degli agenti atmosferici e degli attacchi di insetti. Sopra l’ingresso per la carrozza è presente un ingresso di servizio a cui si accede, tramite una doppia scalinata in pietra serena, al primo piano. I locali del piano terra avevano una funzione di servizio mentre l’edificio era abitato sia al primo che al secondo piano da Cesira, la sorella nubile dell’avvocato Ferdinando, che lo abitò fino agli anni ‘30. Le stanze della servitù occupavano la parte sottotetto dell’edificio, le cui finestre si affacciavano soltanto sul cortile interno.
Per molti anni il primo piano del Palazzo è stato abitato da Amalindo con la moglie Cristine Oswalt Pescatori, la quale in passato ha generosamente acconsentito ad aprire l’accesso all’edificio al pubblico (in occasione della XII Settimana della Cultura, dal 16 al 25 aprile 2010).
Il primo piano, infatti, ospita un ciclo di pitture parietali settecentesche di notevole interesse e varietà. Le decorazioni sono state eseguite con tecniche diverse: tempera su tela, tempera su muro, colori naturali su tessuto e presentano anche molteplici soggetti narrativi tratti da: i Testamenti, i Vangeli apocrifi, le Allegorie, scene mitiche, l’epica virgiliana, le Metamorfosi di Ovidio. La realizzazione è sicuramente attribuibile a più di un artista, tuttavia il progetto figurativo appare unitario e ascrivibile a un solo committente.
L’accesso è caratterizzato da tre porte che hanno le ante dipinte con raffinati motivi, come del resto tutte quelle interne, e con sovrapporte affrescate con piccole scene racchiuse entro una cornice. La centrale, da cui si accede all’appartamento, presenta l’episodio biblico di Susanna e i vecchioni, mentre sulla sovrapporta di destra è presente un episodio del Nuovo Testamento: la conversione di Saulo di Tarso.
La stanza di ingresso presenta sulle pareti una serie di cinque finti arazzi con pitture raffiguranti scene della Genesi: la creazione di Eva, la Tentazione, la Cacciata dal Paradiso Terrestre, Adamo ed Eva sulla Terra, Caino e Abele. Sulle sovrapporte di questo ambiente sono riportate ulteriori storie bibliche, dipinte a monocromo sui toni dell’azzurro, che hanno come protagonista Sansone, giudice d’Israele dalla forza mitica: nella prima scena uccide un leone a mani nude, nella seconda scardina le porte di Gaza, nella terza, accecato e prigioniero dei Filistei, è costretto a girare una macina.
Nel grande salone centrale alle pareti sono presenti quattro grandi tele dipinte a tempera con le allegorie dei continenti: Europa, America, Asia, Africa, ispirate all’Iconologia di Cesare Ripa (un trattato di fine Cinquecento). L’Europa è identificata con la figlia del re della Fenicia, che, secondo le Metamorfosi di Ovidio, mentre giocava in riva al mare con le sue ancelle fu rapita da Giove , trasformatosi in un toro. L’Africa è rappresentata come una donna seminuda adorna di coralli, che tiene con la mano destra una cornucopia di spighe di grano e con la il braccio destro cinge un leone, mentre nella mano destra tiene un serpente. L’Asia è raffigurata come una donna vestita con un abito in oro, coronata di fiori, che tiene in mano un incensiere fumante. Alle sue spalle è presente un cammello. L’America ha le sembianze di una donna con il capo adornato di penne colorate, che impugna arco e frecce, col piede calpesta una testa umana trafitta da una freccia. Le sovrapporte sono decorate con le quattro stagioni: la Primavera e l’Estate si presentano come giovani donne in compagnia di un amorino: la prima intreccia fiori per ghirlande, la seconda raccoglie fasci di spighe di grano. L’Autunno e l’Inverno hanno sembianze maschili: il primo è un uomo giovane, seminudo sdraiato su un pergole d’uva, davanti a una botte che zampilla vino, mentre un amorino copre le sue nudità, il secondo è un uomo anziano, dalla barba bianca, avvolto in una veste e pesante mantello, seduto vicino al fuoco, mentre un amorino arriva portando una fascina per alimentare le fiamme. Seguono episodi tratti alternativamente dalla storia o dal mito del mondo greco e romano, tra cui l’incontro tra Alessandro Magno e il filosofo Diogene, il suicidio di Lucrezia, Enea che fugge da Troia portando il padre Anchise sulle spalle, Enea che abbandona Didone per adempiere alla sua missione.
La ricca decorazione di questa stanza prosegue anche sul soffitto che presenta motivi geometrici e floreali.
Dal grande salone si passa in una camera che conserva gli arredi originali, tra cui il letto a baldacchino dove, secondo la memoria storica della famiglia Pescatori, avrebbe riposato il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena (1765-1790).
Un’altra stanza degna di nota è quella del camino, costruito in marmi colorati e sovrastato da una cornice in stucco, sulla cui sommità domina una fenice che stringe tra gli artigli delle fiamme. Sulle sovrapporte troviamo un’allegoria della Giustizia, raffigurata secondo l’iconografia del Ripa e altri episodi biblici: il sacrificio di Isacco, l’apparizione dell’angelo ad Agar, il sogno di Giacobbe e Mosè davanti al roveto ardente. Le altre stanze, imbiancate e quindi prive di pitture, conservano comunque la decorazione delle sovrapporte con la nascita della Vergine; Mosè che fa scaturire dalla roccia l’acqua per dissetare il suo popolo; gli angeli che salvano da Sodoma Lot, la moglie e le figlie, mentre la città viene incendiata da Dio.
Le immagini di questo ciclo di pitture hanno funzione di ammaestramento, persuasione o monito, cosa che fa presupporre l’esistenza di un committente colto, dedito all’esercizio della legge, munito di un profondo senso religioso e conoscitore dei testi sacri, oltre che di quelli classici, di autori come Virgilio e Ovidio, o di storici come Livio e Plutarco. La bottega di artisti toscani che ha elaborato queste raffigurazioni di gusto neo-cinquecentesco potrebbe avere sede a Pisa nella seconda metà del Settecento.
Vista proprio tale collocazione cronologica degli affreschi e delle decorazioni del palazzo, riconducibile alla seconda metà del Settecento, il committente può essere individuato in Giovacchino Pescatori (1736-1816), nipote di monsignor Domenico Pescatori (nota giurista del Granducato lorenese) e Vicario di Colle Val d’Elsa, di Vicopisano, Empoli e Scarperia, poi Vicario Maggiore Generale per l’Alta Toscana.
Bibliografia
C. Cagianelli, Allegorie, storie e leggende a Palazzo Pescatori, Peccioli 2010.