Dell’assedio di Peccioli e di come e perché si creò la Compagnia del Cappelletto…
Nel XIV secolo, il castello di Peccioli, che godeva di una
posizione strategica, fu al centro di una contesa tra Pisa e Firenze per il
dominio della Valdera, fu così che gli eserciti e i soldati mercenari si
contrapposero duramente per la sua conquista. Peccioli subì quindi vari assedi,
uno in particolare merita di essere raccontato per l’importanza che ebbe nel
contesto della lotta tra Pisa e Firenze, e che ebbe come epilogo la nascita di
una grande compagnia di ventura: quella del Cappelletto!
La situazione si fece più tesa quando, nell’ottobre del 1361,
Firenze s’impadronì di Volterra. Al
comando delle truppe fiorentine si trovava Messer Bonifazio Lupo che il
sesto giorno di luglio del 1362 si accampò tra Ghizzano e Peccioli ma
inaspettatamente, non reputato all’altezza della situazione, fu rimosso dall’incarico
(l’episodio è ampiamente narrato nelle “Istorie Fiorentine” di Scipione
Ammirato). Bonifazio fu acclamato dal suo esercito, ma inorgoglito si ritirò
verso Firenze, e a guisa degli antichi condottieri, “non gli fu grave il
rimanere secondo là dove era stato primo”.
A Bonifazio successe Ridolfo da Varano, il quale era meno
impulsivo di Lupo, “più illustre di nascita, ma inferiore assai per prontezza e
per mente”. Durante l’assedio fu catturato un messo che, dal castello di
Peccioli uscendo per porticciola, andava a chiedere aiuto ai Pisani, la
lettera che portava con sé diceva che il castello era sguarnito. Il Varano per
verificare che la lettera dicesse il vero, dette l’assalto alle mura, in modo
da fare reagire i castellani, “Per scorgere la gente che v’era alla difesa e
per quello comprendere si poté forse sessanta uomini con femmine assai si
vidino, che diedero a intendere che vi mancasse la difesa”. Il Varano aveva ora
la sicurezza di poter attaccare senza problemi, ma fu molto prudente, egli
diceva che “il procinto della terra era grande, forte di muro e di ripe”. I
Fiorentini attendendo inutilmente l’attacco accusarono il Varano di lassismo,
“Stava dormendo la mattina fino alla terza, con letto fornito di disonesta
compagnia, e menando vita di corte quieta”. L’arrivo dei rinforzi da Firenze
accompagnati da Niccolò da Montefeltro e Bonifazio Lupo dettero una scossa alle
operazioni concedendo ai Castellani di Peccioli, su loro richiesta, un
ultimatum secondo il quale se entro il dì 10 di agosto del 1362 non fossero
ancora arrivati gli aiuti richiesti agli anziani di Pisa, si sarebbero dati per
vinti: “Quei di dentro patteggiarono che
se il 10 agosto non fossero stati soccorsi si renderebbero, salve le persone; e
ne furon mandati ostaggi a Firenze. Pisa non poteva mandare aiuto perché ignara
di tutto”.
Alla scadenza dell’ultimatum i Fiorentini attaccarono e
arrivati fin sotto la rocca “di due torri possenti collegate con un ponte”
avvertirono il capitano di Pisa che vi si era rifugiato di arrendersi e
ricevute in cambio offese e sberleffi i Fiorentini dettero fuoco ai puntelli
con il quale la torre scalzata delle fondamenta si reggeva. “La torre cadde in
sulle mura e di quelle abbatté bene quaranta braccia”. Peccioli era caduta in mano
ai Fiorentini ma non fu depredata dai soldati grazie all’intervento proprio di
Bonifazio Lupo, il quale si mise subito a difesa del castello. Successe che
molti Pecciolesi se ne andarono temendo una reazione negativa dei Pisani per
essersi arresi troppo facilmente. Le cronache del tempo ci dicono che per la
conquista di detto castello a Firenze si festeggiò grandemente di giorno e di
notte, e in segno di benevolenza, il capitano pisano catturato non fu
condannato a morte.
In seguito alla conquista del castello di Peccioli, i
soldati fiorentini chiesero doppia paga per avere preso il castello ma,
ricevendo un rifiuto, molti di loro si ribellarono e con a capo Niccolò da
Montefeltro diedero vita alla prima compagnia di Ventura formata da
Italiani. L’episodio è così vividamente narrato da Matteo Villani
nella sua “Cronica” che riportiamo qui di seguito il brano che lo
descrive: “La presura di Peccioli fu materia di scandolo tra’l comune di
Firenze e’ soldati: perocchè certi di loro, ciò fu il conte Niccolò da Urbino,
Ugolino de’ Sabatini di Bologna, e Marcolfo de’ Rossi da Rimini, uomini di
grande animo e seguito, con la maggior parte de’ conestabili tedeschi, a istigamento
dei procuratori di loro paghe, a dì XXX agosto di detto anno 1362, mossono lite
al comune, dicendo che per la presura di Peccioli dovevano avere paga doppia e
mese compiuto (…). I priori determinarono che la loro domanda non era
ragionevole, onde tornato al campo lo ambasciatore con questa risposta,
furiosamente il detto Niccolò, Ugolino e Marcolfo puosono un cappello in su una
lancia, dicendo che chi voleva paga doppia e mese compiuto si mettesse
sotto il detto segno: i quali in poca d’ora si ricolgono il detto Niccolò,
Ugolino e Marcolfo con loro brigate e molti caporali tedeschi e borgognoni,
tanto che passarono il numero di mille uomini da cavallo (…) Come ciò fu noto a
Firenze il detto Niccolò, Ugolino e Marcolfo, e conestabili tedeschi di
presente furono cassi (licenziati): ed essi si ragunarono all’Ossaia, in
quel d’Arezzo e crearono compagnia, la quale per lo caso detto di sopra, del
cappello posto in sulla lancia, titolarono la compagnia del cappelletto …”. Anche
il Tronci negli Annali Pisani descrive similmente il fatto: “Dopo la presa di Peccioli,
il conte Niccola da Urbino, Ugolino Sabatino da Bologna, Marcolfo de’ Rossi da
Rimini ed alcuni capitani tedeschi chiesero che si desse all’esercito doppia
paga e mese compiuto. La Signoria ricusò, per sì piccola conquista, una
ricompensa riservata per le più grandi vittorie. Saputosi il qual rifiuto al
campo, i contestabili posero un cappello sulla punta d’una lancia e bandirono,
che intorno a quell’insegna si raccogliessero quanti voleano compiuto il mese e
doppia paga. Vi si unirono mille cavalieri. Ricondotti dal generale a San
Miniato, onde il nemico non vedesse tanta licenza, la Signoria congedò i
tumultuosi; ma essi non si separarono, e formarono una compagnia di ventura
sotto il nome del cappelletto e, passati nel territorio d’Arezzo, cominciarono
a vivere di ladroneggio. Allettati dalle prede che questi venturieri facevano
si congiunsero loro altri mille cavalli, e tutti insieme tornarono nel
samminiatese: lo che fu di conforto ai pisani per la molestia che da quegli
uomini di ventura poteano fiorentini ricevere, e la gente di Pisa riacquistò
Laiatico”.