La Guerra dell’Anello: la saga di una reliquia tra leggenda e realtà
Ebbene sì… esiste davvero una vicenda storica (e a dir poco rocambolesca!) legata ad un Anello, che nulla ha a che fare con Tolkien, i suoi Elfi e i piccoli Hobbit in viaggio nella Terra di Mezzo.
Non si tratta di “fantasy” ma di un mix di informazioni (spesso “fantasiose”, questo sì!), giunte fino a noi attraverso fonti orali e agiografiche, che si sono unite ai pochi dati storici reali, ma non per questo hanno avuto meno impatto nella storia del XV secolo.
Lungi da noi quindi ricercare una rigorosità impossibile con questo racconto, quanto invece mostrare come una reliquia, una martire e un frate fedifrago abbiano fornito una “valida” giustificazione per l’inizio di una “guerra”.
Ma partiamo dall’inizio…
Protagonisti principali di questa vicenda sono senza dubbio l’Anello in quarzo calcedonio, dono nuziale di San Giuseppe a Maria, e la giovane Mustiola, martirizzata nel III secolo d.C. nella città di Chiusi.
IL SANTO ANELLO
Si tratta, secondo la tradizione, dell’anello che Giuseppe donò a Maria durante il loro matrimonio, e che per strade e in tempi diversi, a seconda di quale leggenda si voglia seguire, arrivò a Roma.
Le leggende principali sono due, entrambe intrise di fede cristiana ed entrambe collegate alla donna di nome Mustiola.
Nella versione di Adamo Rossi (erudito perugino del XIX secolo), Maria lasciò l’Anello in eredità a San Giovanni, il discepolo prediletto da Gesù che l’aveva presa a casa sua. Probabilmente Giovanni lo portò sempre con sé perdendolo a Roma quando subì il la terribile sorte della persecuzione. In qualche modo l’Anello finì nel tesoro imperiale e da qui nelle mani della giovane Mustiola che era parente dell’imperatore. L’anello sarebbe stato sepolto quindi nella tomba di Mustiola a Chiusi e ritrovato più tardi con le sue reliquie.
L’altra versione della leggenda deriva da un codice medievale perugino, l’Ystoria Sacri Anuli, e ci racconta di un ebreo che viveva a Roma, mercante di pietre preziose, che lo donò ad un orafo chiusino di nome Ainerio, affinché venisse venerato onorevolmente dai cristiani. L’orefice però, pur accettando il dono, giudicò l’Anello di scarso valore e lo dimenticò in un qualche cassetto. Alcuni anni dopo, però, Ainerio si dovette ricredere: mentre accompagnava alla sepoltura il suo unico e giovane figlio, questi si risvegliò dalla morte giusto il tempo per rimproverare il padre per la sua mancanza di fede e per raccomandare che la reliquia da quel momento in poi fosse conservata con grande venerazione nella chiesa di Santa Mustiola.
Nasce spontanea, a questo punto, la domanda sul perché la tradizione abbia voluto legare il Santo Anello alla figura di Mustiola. La risposta è molto semplice e, se vogliamo, anche “di comodo”: coloro che scrissero queste leggende, già nell’XI secolo si trovarono di fronte ad una ben organizzata venerazione del Santo Anello nella chiesa chiusina di Santa Mustiola e dovettero in qualche modo legittimare dal punto di vista agiografico le tradizioni popolari e le memorie leggendarie di antichi fatti all’interno del loro racconto. Senza contare l’opera che i canonici di Santa Mustiola intrapresero per sottolineare tale collegamento, che era il miglior argomento a favore del loro buon diritto di conservarne la preziosa reliquia nella loro basilica.
… MA CHI ERA MUSTIOLA?
(Per chi conosce la storia del territorio pecciolese, il nome di questa martire non apparirà nuovo, poiché a Santa Mustiola fu dedicata la piccola chiesa che sorse in località Colle Mustarola, nei pressi di Ghizzano, i cui resti sono visitabili e ancora in corso di scavo)
La leggenda vuole che Mustiola (la cui esistenza storica è certa, così come il suo martirio) fosse una giovane patrizia nonché cugina dell’Imperatore Claudio II il Gotico. Trascorse la sua vita a Roma, con tutti gli agi che sia addicevano al suo status, finché nel 270 d.C. l’imperatore Claudio morì di peste e il Senato lo sostituì con il fratello Quintillo. Le truppe, come spesso accadeva in quegli anni, non lo riconobbero e dopo pochi mesi acclamarono Imperatore Aureliano (colui che costruì la possente cinta muraria attorno alla capitale, le cosiddette Mura Aureliane, ancora oggi visibili per molti tratti).
Visti i cambiamenti repentini nelle dinamiche del potere, Mustiola
decise di lasciare Roma assieme alla sua famiglia, trasferendosi nella città di
Chiusi, distante tre sole giornate dalla sua città natale. Non sappiamo se ella
fosse già battezzata o se lo diventò al suo arrivo a Chiusi, per mano del
vescovo Marco, ma di sicuro la giovane qui si prodigò molto in opere di carità.
Il cristianesimo però, seppure si stesse diffondendo molto velocemente, era
ancora considerato una religione illecita e per Mustiola, non più protetta
dalla presenza del cugino Claudio, iniziò un periodo molto difficile.
Molti cristiani che portavano la parola
di Cristo nelle campagne e molti fedeli vennero imprigionati, tra cui anche un
diacono di nome Ireneo. Mustiola usò ciò che rimaneva delle sue ricchezze e
della sua influenza per aiutare tutti i detenuti, andando a confortarli in nome
di Cristo.
La notizia dell’operato di Mustiola arrivò all’orecchio degli inviati
dell’Imperatore che avevano il compito di controllare la diffusione del
cristianesimo nelle province e, giunti a Chiusi, eressero un tribunale nella
pubblica piazza. Ai cristiani imprigionati venne richiesto di rinnegare la
propria fede e, al loro rifiuto, furono decapitati.
La stessa Mustiola fu mandata a cercare da un manipolo di soldati e da qui il
più noto dei miracoli a lei attribuito: nella fuga, giunta davanti alle acque
del Lago di Chiusi che le sbarrano il cammino, stende il suo mantello sulle
onde, vi sale sopra e attraversa facilmente le acque, sottraendosi alla furia
dei persecutori.
Nonostante i suoi tentativi di fuga però anche Mustiola venne processata e,
alla richiesta di rinunciare al Cristo ottenendo la libertà, ella rifiutò proclamandosi
pronta a sacrificarsi nel suo nome. Era il 3 luglio del 274 d.C e la giovane fu
condannata ad essere battuta con la crudele e spietata tortura delle piombate[1] fino
al sopraggiungere della morte.
I corpi martoriati rimasero esposti nella piazza per tutto il
giorno e solo con l’arrivo della notte i familiari poterono prenderli e dar
loro degna sepoltura. La salma di Mustiola (assieme a quello del diacono
Ireneo, il cui culto rimarrà legato a quello della Santa) fu trasportata per
volere del vescovo Marco fuori le mura della città, nel luogo dove sorsero le
catacombe a lei intitolate e in seguito anche una basilica, che fu abbandonata
quando le spoglie furono traslate nella cattedrale cittadina.
Il suo culto, fin dal III secolo d.C., è rimasto vivo e radicato nel
territorio, tanto che oltre a divenire la santa protettrice della città di
Chiusi, Mustiola diventerà il tramite attraverso il quale si svilupperanno le
vicende della contesa del Santo Anello.
Quale che fosse la ragione per cui la tomba di Santa Mustiola conservasse il Santo Anello, il binomio era divenuto così indissolubile da diventare parte integrante dell’iconografia della santa: nelle sue raffigurazioni tiene in mano una catenella a cui è infilato l’Anello.
DAL CULTO ALLA GUERRA
Il Santo Anello venne conservato nella basilica di Santa Mustiola,
a circa due chilometri da Chiusi, fino alla metà del XIII secolo, quando fu
trasferito nella cattedrale cittadina di San Secondiano. Ciò dimostra la
potenza della basilica che conservò per secoli, oltre alla tomba della patrona
della città, anche una reliquia così importante.
Questa grande chiesa fu costruita nel 728 per volere del duca longobardo
Gregorio (nipote del re Liutprando) in un luogo sacro per i chiusini fin
dall’antichità. Qui infatti, alla fine del III secolo, erano state scavate le
catacombe[2]
dove era stata sepolta Mustiola insieme agli altri cristiani e, nel secolo
successivo, sorse la primitiva basilica paleocristiana dedicata alla giovane
martire. Gregorio riedificò la basilica preesistente, probabilmente
ingrandendola: era una chiesa maestosa, a tre navate, che acquistò nei secoli
una potenza non solo religiosa, ma anche temporale. Fu proprio questo aumento
di potere politico ed economico di cui beneficiò la città di Chiusi, a
scatenare gli interessi delle città vicine, come Perugia, Orvieto e Siena.
La reliquia del Santo Anello caratterizzò la storia civile e
religiosa della città per circa cinque secoli.
Nel corso del Medioevo l’impaludamento delle Chiane, la malaria e il
conseguente spopolamento accentuarono la decadenza del territorio, e fu
l’Anello a rappresentare una delle poche ricchezze spirituali, ma anche
materiali, della città. La sua venerazione attraeva tantissimi fedeli, che si
recavano in pellegrinaggio e che, assieme alla loro devozione portavano
donazioni ed elemosine. L’Anello era poi ritenuto miracoloso per le malattie
degli occhi e veniva esposto il lunedì di pentecoste, il 3 luglio (giorno del
martirio di Santa Mustiola) ed il 3 agosto, data quest’ultima fissata per
favorire i pellegrini (e le elemosine!) che tornavano da Assisi dopo la
richiesta del Perdono.
Il trasferimento della reliquia dalla basilica di Santa Mustiola alla cattedrale di San Secondiano fu conseguenza della sua acquisita importanza politico-economica e della necessità di garantirne la sicurezza contro le città vicine, in particolare Perugia con la quale gli attriti espansionistici risalivano all’età etrusca. L’ubicazione fuori le mura della città della basilica la rendeva meno difendibile e più esposta ad attacchi e furti. Perugia accentuò le proprie mire espansionistiche verso il territorio chiusino e nel XV secolo oggetto del contendere diventarono i beni amministrati proprio dalla basilica di Santa Mustiola.
Nel 1420 l’Anello fu trasferito nuovamente, stavolta nella chiesa di San Francesco ed è da qui che venne trafugato la notte del 23 luglio dell’anno 1473. Protagonista del furto fu frate Vinterio, di origine tedesca, che risiedeva da qualche anno nel convento di San Francesco a Chiusi (pare fosse un ladro recidivo, perché aveva rubato anche dei calici a Città della Pieve e per questo era anche stato arrestato). Non è dato sapere se fosse stato incaricato da qualcuno o se lo fece per dispetto, visto che alcuni religiosi di Chiusi lo avevano trattato male, ma riuscì nel suo intento e, probabilmente, partì alla volta della sua madre patria.
Si racconta che nei pressi di Perugia, una nebbia impenetrabile
gli sbarrò la strada e lo costrinse a cercare rifugio in casa di un amico. Qui,
temendo che la nebbia non fosse altro che un segno del castigo divino, raccontò
quello che aveva fatto all’amico che lo ospitava, il quale decise di consegnare
l’Anello al comune di Perugia.
A Chiusi, dove nessuno si era ancora accorto del misfatto, la mattina del 3
agosto del 1473, giorno di esposizione del Santo Anello, si scoprì con sommo
sgomento che era stato rubato. Iniziò quindi una caccia al ladro che si
concluse in breve tempo: il 5 agosto fra Vinterio venne arrestato a Perugia e i
priori chiusini stanziarono subito 25 fiorini per riavere indietro la reliquia,
ben sapendo che non sarebbe stato facile rientrarne in possesso.
Nelle settimane che seguirono le vicende presero quasi la
connotazione di una crociata per recuperarlo da parte dei chiusini, ma fu
chiaro che non ci fosse possibilità alcuna di farsi restituire l’Anello dai
perugini.
Era il 30 settembre e l’unica consolazione che ebbe Chiusi fu quella di
imprigionare un certo Tommaso, fabbro che aveva creato le chiavi false servite
a fra Vinterio per il furto, ed accendere gli animi dei senesi a reagire
all’onta subita dai loro protetti chiusini.
Si arrivò così, verso la fine del 1473 ed i primi mesi del 1474,
ad una vera e propria “guerra del Santo Anello”, in cui si susseguirono
richieste di autorità, cittadini, e perfino del papa: Sisto IV è chiamato a dirimere
la contesa, ma invece di propendere per una o l’altra parte, cerca di ottenere
l’oggetto per sé, esortando “i priori a consegnare l’anello nelle mani del
cardinal Savelli, che avrà l’incarico di portarlo a Roma in cambio di altre
reliquie”.
Il potere civile e la gerarchia ecclesiastica perugina, con raffinate doti
diplomatiche comuni, riuscirono però a far capire al papa francescano il
pericolo di aprire un processo che coinvolgesse il proprio Ordine, e così, ammaliato
dalle lusinghe e dai doni ricevuti e non potendo mettersi in lotta aperta con
una città utile strategicamente per l’occupazione dell’Umbria, Sisto IV decise
di non esporsi, confidando in tempi migliori.
La vicenda terminò definitivamente nel 1487, quando Pandolfo Petrucci con il suo colpo di stato portò alla caduta di Siena, sancendo, tra gli altri beni, anche la definitiva proprietà perugina dell’Anello. Nel 1488 la reliquia venne depositata in uno scrigno chiuso con 14 chiavi nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, nella quale venne eretta la Cappella del Sacro Anello. Venne richiesta al pittore più rinomato, il Perugino, la famosa opera dello Sposalizio della Vergine, rubata purtroppo secoli dopo da Napoleone e attualmente al Museo delle Belle Arti di Caen (Francia).
Il furto dell’Anello fu un colpo così grave per la comunità di Chiusi, tanto dal punto di vista religioso quanto economico, che si cercò subito di trovare un evento di devozione alternativo, decidendo nel maggio del 1474 di riesumare il corpo di Santa Mustiola. E con buona pace della comunità chiusina, si racconta che ogni anno, all’alba del 3 luglio si manifesti il suo miracolo e si veda sul lago di Chiusi la scia lasciata dal suo mantello.
… UN’ULTIMA CURIOSITA’ SULL’ANELLO
È stata effettuata una perizia tecnica sull’anello che ha evidenziato alcune particolarità che non coincidono con la sua presunta funzione di anello nuziale:
- la grande dimensione del gambo (circa 8 mm) renderebbe assai scomoda la posizione delle dita;
- il diametro del foro corrisponderebbe alla misura di un piccolo mignolo;
- la presenza di una cavità ovale sulla parte piana della testa dell’anello parrebbe funzionale ad ospitare un elemento ormai mancante.
È probabile che la reliquia in realtà non sia altro che un anello-sigillo maschile risalente al I secolo d.C.
Ma, in fondo, chi può dirlo?
Bibliografia
A. Rossi, L’anello sponsalizio di Maria Vergine che si venera nella cattedrale di Perugia, Perugia 1857.
G. C. Trombelli, Mariae sanctissimae vita ac gesta cultusque illi adhibitus, VI, Bologna 1765.
Codice Vaticano Barberiniano Latino 4032 (sec. XIV), cc. 64v-65r.
E. Barni-G. Bersotti, La diocesi di Chiusi, Chiusi 1999.
G. Riganelli, Signora del Lago, signora del Chiugi: Perugia e il lago Trasimeno in epoca comunale (prima metà sec. XII-metà sec. XIV), Perugia 2002.
AA.VV., Il Santo Anello: leggenda, storia, arte, devozione, Perugia 2005
[1] Le piombate erano delle corte mazze a cui erano appese piccole catenelle terminanti con sfere di piombo con cui si percuoteva il corpo del condannato legato ad un palo, finché la morte non sopraggiungeva.
[2] Le Catacombe di Santa Mustiola, assieme alle vicine e più piccole Catacombe di Santa Caterina di Alessandria, sono le uniche finora scoperte nella Toscana continentale.